lunedì, giugno 20, 2011

La vera storia della bandiera dei sardi


I quattro mori sono sempre stati, a memoria d'uomo, il simbolo riconoscibile della comunità sarda; una bandiera sventolata in migliaia di occasioni diverse, dai concerti del primo maggio a Roma fino alle recenti rivolte del movimento dei pastori, passando per l'etichetta della birra Ichnusa. Emblema della fierezza nazionale, veicolo per la rivendicazione di un'appartenenza specifica. Risalire il fiume dell'orgoglio col quale questo simbolo viene spesso ostentato, però, rivela ad uno studio attento alcune sorprese straordinarie, e richiede lo sforzo di accantonare ogni preconcetto prima di proseguire per la via che porta, attraverso una narrazione ricchissima di fonti, alla scoperta dei molteplici e contraddittori significati della bandiera sarda.

I quattro mori fanno la loro prima apparizione nel 1281, impressi su un sigillo del re Pietro III di Aragona il Grande, ma dovrà passare ancora molto tempo prima che la bandiera diventi il simbolo dell'isola e dei suoi abitanti nell'immaginario collettivo. In mezzo c'è Mariano IV, divenuto giudice di Arborea nel 1347, e la storia sommersa di come unì il popolo sardo sotto una sola bandiera, quella dell'albero deradicato verde in campo bianco, lottando contro i catalano-aragonesi e confinandoli nelle roccaforti di Cagliari e Alghero. L'albero, che inizialmente simboleggiava il giudicato insieme ai pali catalani, si fece largo rapidamente fino ad eliminare del tutto l'elemento iberico, e diventò così il primo vessillo di origine autoctona con cui i sardi arrivarono ad un soffio dall'indipendenza. Ma la sconfitta dei sardi giudicali e la vittoria dei catalano-aragonesi del 1409, nella piana di Sanluri, seppellì gli avvenimenti sotto un cumulo di macerie, depositate con cura anche dalla classe intellettuale sarda che nei secoli a venire lavorerà soprattutto per compiacere la classe dominante di turno, condannando così la storia nazionale a cadere nell'oblio, in cambio di precari riconoscimenti e di un'integrazione sospirata a lungo, e mai ottenuta completamente. Lo stesso triste destino toccherà all'altra rivoluzione mancata, quella anti-piemontese guidata da Giovanni Maria Angioy verso la fine del '700, prontamente rimossa dalla memoria collettiva e rispolverata solo quando gli animi si erano raffreddati abbastanza da poterla ammirare comodamente in un museo.

La bandiera dei quattro mori porta dunque con sé una carica simbolica zeppa di contraddizioni: da simbolo del popolo invasore, passerà a rappresentare l'orgoglio e il militarismo dei sardi, un impulso che dal XVI secolo si trascinerà fino all'età moderna per dare vita a quel sardismo che prende le mosse dal sentimento di fierezza e abnegazione dei reduci della Brigata Sassari. Fierezza per le proprie origini sarde e ardore patriottico italiano, ovvero orgoglio e integrazione. Una confusione semantica che porta oggi la regione Sardegna ad aver adottato i quattro mori come proprio simbolo ufficiale, dichiarando per iscritto che la loro origine resta ancora avvolta nell'incertezza, ma che il simbolo, certamente, da molti secoli identifica la Sardegna e il suo popolo nella sua unità e nella sua volontà di essere libero.

(Franciscu Sedda, La vera storia della bandiera dei sardi, 2007, Cagliari, Condaghes.)

domenica, dicembre 10, 2006

SUGHERA; un albero, una terra

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La distrubuzione della quercia da sughero in Sardegna non dipende soltanto da fattori edafici, ma anche da ragioni economiche che ne incentivano lo sviluppo di determinate aree. Se le zone d'impianto tradizionale risoltano essere la Gallura e il Nuorese, oggi troviamo ampie sugherete pure nella Barbagia e nel Logudoro, e in certe parti del Sulcis e dell'Iglesiente.

"Bande di ladri assaltano le sugherete. Questa la singolare notizia che arriva dalla Barbagia e dal Mandrolisai. Invece di depredare il bestiame, ora i malfattori si dedicano a scortecciare le quercie." Segno inequivocabile che coltivare il sughero rende.

giovedì, maggio 11, 2006

TINNARI

Un punto panoramico notevole è costituito dal Monte Tinnari, che domina l'omonima spiaggia da sud-ovest. Vi giunge una strada sterrata (segnalata lungo la S.Teresa - Castelsardo) che consente dunque di ammirare facilmente tutta la costiera di Trinità D'Agultu: verso ovest, la punta Li Cannedi, L'Isola Rossa e Castelsardo; verso est, Cala Tinnari e la Costa Paradiso, frammentata in migliaia di scogli.
A piedi, con questa stessa strada, si può raggiungere anche la spiaggia Tinnari...
Questa è un'insenatura che si forma allo sbocco sul mare di un torrente, il Riu Pirastru, che ha eroso profondamente le colline di porfido rosso. La spiaggia è dunque costituita da piccoli ciottoli di porfido perfettamente arrotolati, ed il suo soggettivo "doppio arco" è segnato al centro da un grande scoglio.



martedì, marzo 21, 2006

Quando il mare si arrabbia... con il Maestrale...

Nord Sardegna
La Marinedda con un forte Maestrale...
Paesaggio con la Torre Aragonese e l'Isolotto...

A pelo dell'acqua rischiando un bel bagnetto...

Le scogliere di Cala Rossa...

A Caneddi...

giovedì, febbraio 23, 2006


Quando il vento si fa scultore

È l’erosione a plasmare i graniti della Gallura: piccoli e grandi blocchi arrotondati scavati e scolpiti dai tafoni, (lu tavoni, in gallurese) disegnano gli scenari dell’interno e lungo le coste. I primi sono il risultato dell’erosione nel sottosuolo, che agisce sulla naturale fessurazione della roccia (1). L’acqua circola nelle fratture e dissolve e disgrega la roccia formando depositi di detriti (2). Quando i detriti vengono asportati dal dilavamento, rimangono solo i massi arrotondati, accatastati gli uni sugli altri (3) e spesso soggetti a ulteriore erosione con un processo di desquamazione, “a pelle di cipolla”. I tifoni si formano invece in ambiente aereo (4): è l’azione combinata del vento e dell’acqua salata a scavare la dura roccia. Il vento accelera l’evaporazione e quindi il deposito di cristalli di cloruro di sodio che, aumentano di volume, disgregano la roccia. Il processo inizia con l’esportazione di un primo cristallo: si crea così una piccolissima nicchia che progressivamente s’ingrandisce verso l’altro, per desquamazione della volta.

lunedì, febbraio 13, 2006

Spettacolo Sottomarino
Tutto il meglio dei fondali più scenografici del Mediterraneo


Immergersi in Sardegna è il sogno di molti sub, attirati da pareti ricchissime di vita e di colore, da una fauna stanziale e di passo incredibilmente ricca, che si muove in un’acqua limpida e cristallina. Tra le decine d’immersioni. Le più intense e spettacolari sono:

Capo Testa- Santa Teresa di Gallura (SS)
Secca delle Cernie. In pieno Canale di Bonifacio, questa secca leggendaria rappresenta un must delle immersioni, con pareti e massi granitici che si sovrappongono formando cunicoli, anfratti e grotte in cui è facile sporgere le famose regine del mare: le cernie. L’immersione va programmata con tempo buono anche perché è possibile scendere facilmente oltre i 40 metri di profondità.

Arcipelago della Maddalena (SS)
Secca di Budelli. Enormi massi granitici caratterizzano il paesaggio di questa secca ricca di vita e di colore. Tra gli anfratti è facile incontrare saraghi, ombrine e aragoste, ma non mancano le murene ed estese formazioni di gorgonia bianca. La profondità arriva a 30 metri. Nell’acqua limpida si muovono formazioni compatte di castagnole.

Marina di Orosei (NU)
Relitto KT12. Ci si immerge sul relitto di un cargo affondato dal sottomarino inglese Safari nel maggio del 1943. lo scafo giace ad una profondità di 34 metri. L’immersione e spettacolare perché molte parti della nave sono intatte, con le sagome di cannoni e mitragliere ancora ben visibili.

Isola di San Pietro (CA)
Scoglio del Corno. È un’immersione in mare aperto, lungo le pareti dello scoglio del Corno, di fronte alle altre scogliere di Capo Sandalo. Canaloni, anfratti, grotte e pareti verticali sono l’attrazione di una difficile immersione che scende repentinamente oltre i 50 metri. La corrente è quasi sempre forte e, quindi, si consiglia l’immersione in drift dive, lasciandovi cioè trasportare. Capita anche di incontrare grandi banchi di barracuda.

Capo Caccia (CA)
Grotta del Nereo. A 10 minuti di barca dalle Madonnine, è un’immersione spettacolare e impegnativa, perché la grotta, suddivisa in due ingressi, si dirama in quattro percorsi diversi, tutti suggestivi, specialmente quelli degli Archi di Nerone, e della Camera Grande, a meno di 36 metri.

I Dolci

Ogni festa, dell’isola, si associa ad un dolce. Ma alcune di queste delizie, benché appartengono a specifiche tradizioni locali, sono diventanti simboli dell’intera regione. Come le “seadas”, frittelle farcite di formaggio fresco inacidito, ricoperto di miele di corbezzolo, e zucchero a velo. I morbidissimi “amarettus” (amaretti), i “papassinas”, biscotti di Natale, dei rombi con sapa di mosto, uova uvetta, pinoli e noci; le “pardules” o “casciatine”, fagottini di ricotta e uva; gli “aranzadas” sono strisce di buccia d’arancia candita con mandorle tostate e miele. Originali sono pure le “caschettes” che si regalavano alla sposa nel giorno delle nozze.: sembrano rose bianche di sottile pasta sfoglia, contengono mandorle, sapa e scorza d’arancia grattugiata. Ci sono anche i “gueffus” o “suspiri”, palline di mandorle e fiori d’arancia.

giovedì, febbraio 09, 2006





Anche i Merdùles e i Boes di Ottana
hanno gli stessi giorni di festa, così come i balli, i canti, gli strumenti, i velli di pecora e i campanacci, delle feste di Mamoiada. A Ottana invece cambiano, oltre che i dolci, soprattutto le maschere, raffiguranti volti antropomorfi, i Merdùles, e zoomorfi, i Boes. Altrettanto momenti di quiete a fasi di grande concitazione, la pantomima suggerisce l’aggiogamento dei buoi che, condotti in coppia per le strade del paese, vengono continuamente pungolati dal bovaro, il Merdùle. Qui, la sfilata non ha proprio nulla della processione danzata e sincronica dei Mamuthones. Basta un attimo perché si scateni improvvisamente la follia: un Boe si getta per terra simulando la morte, un altro scalcia, sbuffa, muggisce, si avventa sul pubblico, in un gesto di ribellione estrema, in un frastuono assordante di campane. Per qualche minuto regna una confusione totale, fino a quando uno non invita a un brindisi collettivo. È la pace dei sensi, degl’animi, di cui spettatori e attori godono finalmente insieme. Intanto, sola e astratta dal resto della scena, si aggira “sa filonzana”, la filatrice vedova, raccolta nel suo scialle nero e con le forbici in mano, pronta a recidere il filo che pende dal suo fuso. Il filo della vita, s’intende, come un tempo facevano le Parche, figure ancestrali, depositarie del destino dell’uomo. Una presenza oscura e al tempo stesso esorcizzante, che diventa un monito per tutti.


Video: http://www.lamiasardegna.it/web/000/foto.asp?url=410/084-320

martedì, febbraio 07, 2006

Arti Antiche

A Mamoiada c’è l’unico laboratorio artigianale dove vengono ancora realizzate interamente a mano, le tradizionali maschere dei Mamuthones. I legni migliori per questo tipo di lavorazione sono quelli del pero, del ciliegio, dell’ontano e, soprattutto, del noce, il più malleabile in assoluto. Il pezzo di legno prescelto, lavorato solo dopo due mesi d’essiccazione, deve avere un diametro di almeno 20 centimetri, da cui poi si ricava una maschera larga in media 16, per un peso finale di circa 300 grammi. Una volta terminato il lavoro d’intaglio, il legno va poi bollito in acqua, per rendere più forte e resistente la materia.

lunedì, febbraio 06, 2006


L’anticarnevale avviene a Mamoiada, dove i Mamuthones e le loro maschere tragiche sono protagonisti di riti drammatici che non hanno nulla della festa




Gli autori sono venti, dodici Mamuthones, che rappresentano il simbolo della sconfitta, e otto i Issocadores, i vincitori, con in mano le funi della prigionia. Il palcoscenico è Mamoiada, paese simbolo della Barbagia, dove il più strano Carnevale del mondo si ripete tre o quattro volte all’anno: il 17 gennaio, (la notte di Sant’Antonio), quando, secondo la leggenda, il dio del fuoco pretende che si danzi in suo onore interno ai falò; poi si replica l’ultima domenica di carnevale, quindi il martedì grasso, e si concede una rappresentazione fuori stagione il 27 settembre per la festa di San Cosmo. Si è parlato di strano carnevale e in effetti quella di Mamoiada più che una festa è una mesta cerimonia, misteriosa, quasi tragica. Più giusta quindi la definizione di anticarnevale perché qui accade tutto il contrario di quanto avviene durante le folli giornate precedenti la Quaresima, che sono un’occasione per dare sfogo alla fantasia popolare, per sprigionare le passioni e l’allegria, per trasgredire. La cerimonia si ripete immutabile, da sempre: gli stessi costumi, gli stessi passi, gli stessi gesti difficili da interpretare, ma uguali da secoli.
Continua...